Dalla flessibilità alla fiducia: il lavoro ibrido alla prova di maturità

Articolo
Tempo di lettura
A cura di
Alessia Peyrot, PRAXI Risorse Umane
Data di pubblicazione
9 ottobre 2025
  • Risorse Umane
  • Employer Branding
  • Leadership
  • people strategy
  • Articolo
Dalla flessibilità alla fiducia: il lavoro ibrido alla prova di maturità

Dopo la pandemia, il lavoro ibrido si è affermato come “nuova normalità” in molte organizzazioni. Oggi, però, stiamo assistendo a una fase diversa: diverse multinazionali stanno riducendo le giornate di lavoro da remoto o addirittura cancellando le politiche di flessibilità. Nel Regno Unito, ad esempio, cresce la quota di annunci di lavoro che prevedono due o più giorni obbligatori in ufficio (The Guardian, 2025), mentre aziende come Dell e JPMorgan hanno imposto ritorni quasi totali (The Verge, 2025). Negli Stati Uniti si parla di “hybrid creep”, il progressivo irrigidimento dei modelli ibridi (Business Insider, 2025).

Questa tendenza non riguarda solo i Paesi anglosassoni: anche in Italia il dibattito è aperto. Se da un lato molte imprese hanno sperimentato con successo formule di smart working, dall’altro permane una forte cultura presenzialista, soprattutto nei settori più tradizionali.

La vera sfida, dunque, non è più se mantenere il lavoro ibrido, ma come renderlo sostenibile. E qui entra in gioco la fiducia: non come valore astratto, ma come vera e propria infrastruttura da progettare.

Il rollback come stress test

I dati dimostrano che i dipendenti continuano a chiedere modelli flessibili: secondo Gallup, quasi il 60% dei “remote-capable workers” preferisce un approccio ibrido. Eppure, sempre più aziende stanno invertendo la rotta.

Perché? Spesso le ragioni dichiarate riguardano innovazione, collaborazione e cultura. Ma, in profondità, ciò che emerge è un problema di fiducia: timore che senza controllo diretto calino performance, appartenenza e motivazione.

Il paradosso è evidente: i lavoratori completamente da remoto non garantiscono automaticamente un benessere superiore. Se prendiamo sempre in analisi il report Gallup, ci rendiamo conto di come il 36% dipendenti full remote dimostrano un thriving (benesse lavorativo) più basso rispetto al 42% degli ibridi. Non è la flessibilità estrema a garantire migliori risultati, bensì un equilibrio tra autonomia, interazione e fiducia reciproca.

La fiducia come infrastruttura del lavoro ibrido

Pensare alla fiducia come “soft skill” non basta. Perché il modello ibrido funzioni nel lungo periodo, occorre trattarla come un’infrastruttura organizzativa basata su regole, strumenti e comportamenti concreti.

Il primo passo è ridefinire i criteri di valutazione delle performance: non più ore di presenza, ma obiettivi chiari e misurabili che mettano al centro i risultati e non il tempo speso. Parallelamente, diventa essenziale coltivare un ambiente di sicurezza psicologica, basato su empatia, ascolto e feedback continui, anche attraverso rituali digitali e momenti di relazione autentica che rafforzino il senso di appartenenza e la coesione dei team, anche a distanza.

Le tecnologie giocano un ruolo chiave, ma devono essere progettate per abilitare e supportare il lavoro, non per controllarlo. Strumenti per la collaborazione integrata, dashboard condivise e soluzioni di digital wellbeing rappresentano elementi imprescindibili per garantire trasparenza autonomia e benessere. In questo contesto, la leadership assume una nuova centralità: i manager devono essere formati per guidare team distribuiti, con un approccio inclusivo e flessibile, supportati da un top management capace di offrire una direzione solida e coerente.

Infine, per mantenere il modello agile ed efficace, è fondamentale adottare un approccio ciclico di feedback e adattamento, rivedendo periodicamente le “regole del gioco” e assicurandosi che l’organizzazione resti al passo con i bisogni delle persone e le evoluzioni del contesto.

Cosa ci aspetta: l’evoluzione del lavoro ibrido

La domanda non è se il lavoro ibrido sopravviverà, ma in quale forma. Guardando avanti, emergono alcune direttrici:

  • Ibrido modulare: combinazioni più fluide tra giorni in ufficio, giornate di concentrazione e finestre collaborative.
  • Tecnologia e AI: rischio di derive verso la sorveglianza digitale, ma anche opportunità di usare gli algoritmi per aumentare trasparenza e coordinamento.
  • Benessere e confini: i modelli futuri dovranno proteggere i ritmi individuali e prevenire il burnout.
  • Employer branding: in Italia, dove la competizione per i talenti è già complessa, la capacità di offrire fiducia e autonomia diventerà un vantaggio competitivo decisivo.

Il ritorno all’ufficio imposto rappresenta uno stress test per la maturità del lavoro ibrido. Ma non è un passo indietro inevitabile: è l’occasione per capire che la vera leva non è la flessibilità in sé, bensì la capacità di costruire fiducia come architettura organizzativa.

Le imprese che sapranno progettare questa infrastruttura – integrando strumenti, cultura e leadership – saranno quelle in grado di attrarre talenti, mantenere performance sostenibili e creare valore nel tempo.

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A cura di
Alessia Peyrot, PRAXI Risorse Umane
Data di pubblicazione
9 ottobre 2025
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