Nel tennis, il doppio non è la somma di due giocatori, ma un equilibrio dinamico fatto di letture istantanee, movimenti complementari e fiducia totale. Anche nei processi di selezione il risultato migliore nasce da questa stessa armonia: recruiter e hiring manager come alleati sul campo, capaci di interpretare il gioco dei candidati, anticipare le traiettorie e trasformare ogni scambio in un vantaggio competitivo.
Il servizio: un avvio chiaro e strategico
Nel tennis il servizio definisce il tono dello scambio. Nel recruiting, la “battuta iniziale” è la job description: una descrizione accurata, non solo dei requisiti tecnici, ma del ruolo strategico, dei progetti, degli obiettivi.
Perché questo accada, l’hiring manager deve condividere informazioni precise e utili, mentre il recruiter deve saperle interpretare e trasformarle in un messaggio chiaro, credibile e attrattivo per il mercato.
Quando analisi del ruolo, contesto e aspettative sono pienamente allineati, l’effetto è quello di un ace: il processo parte con un vantaggio reale e si intercettano da subito i profili più adatti.
La copertura del campo: ruoli distinti, obiettivo comune
Nel doppio ogni giocatore presidia una zona diversa, ma lo fa leggendo continuamente il movimento del compagno. Lo stesso accade nella selezione. Il recruiter esplora il mercato, valuta soft skills, monitora la pipeline; l’hiring manager approfondisce le competenze tecniche, il cultural fit, le esigenze operative.
Se anche uno solo dei due si muove in ritardo, la palla “cade nel buco”: candidati interessanti non vengono agganciati, i tempi si allungano, le aspettative si disallineano.
Quando invece la copertura è bilanciata, il processo scorre: chi è a “fondocampo” e chi è “a rete” lavorano come un’unica unità.
Il ritmo: comunicare senza interrompere il gioco
Un doppio vincente si riconosce dal ritmo: scambi veloci, continui aggiustamenti, scelte condivise. Nel recruiting questo ritmo è fatto di aggiornamenti puntuali, feedback rapidi, domande di chiarimento al momento giusto.
Un recruiter che individua un candidato con potenziale deve trasmettere subito il segnale al manager; un manager che nota un gap tecnico deve metterlo immediatamente in circolo, così che il recruiter possa ricalibrare screening e colloqui successivi.
Questa comunicazione fluida evita sovrapposizioni, rallentamenti e incomprensioni. Mantiene il “gioco” sempre vivo.
La convergenza decisionale: coordinarsi nei passaggi chiave
Nel tie-break anche un gesto minimo può cambiare lo scambio.
Nella selezione, i momenti critici arrivano nella shortlist: quando più candidati sono validi, quando emergono dettagli da pesare, quando serve prendere una decisione rapida ma informata.
È la fase in cui recruiter e hiring manager devono essere perfettamente allineati per colpire insieme il punto decisivo: scegliere il talento giusto senza esitazioni.
Qui serve un linguaggio comune: feedback puntuali, criteri condivisi, un confronto trasparente.
Il match point: trasformare la sintonia in risultato
Come in un doppio ben giocato, il successo nel recruiting nasce da tre elementi: coordinazione, fiducia, comunicazione. Quando ciascuno conosce il proprio ruolo, sa quando intervenire e sa leggere il compagno, il processo diventa fluido ed efficace.
Il risultato è una scelta ragionata, tempestiva e coerente con gli obiettivi dell’organizzazione. Un match point convertito in punto, e un nuovo talento che entra in squadra nel momento giusto e nel modo giusto.
Insomma, nel recruiting come nel doppio di tennis, il talento si conquista davvero quando l’intesa diventa strategia: non è il singolo colpo a fare la differenza, ma la capacità di giocare ogni punto con la stessa visione.