Dal Curriculum alle Competenze: il cambio di paradigma che sta rivoluzionando il lavoro

Articolo
Tempo di lettura
A cura di
Monica Coppola e Federica Riccardi, PRAXI Formazione, e Simone Formato, PRAXI Risorse Umane
Data di pubblicazione
23 maggio 2025
  • Risorse Umane
  • Executive Search & Recruitment
  • Formazione
  • Recruiting
  • Skills
  • Articolo

Attualmente nel mondo si confrontano circa sette generazioni differenti e, all’interno delle organizzazioni, ne interagiscono almeno quattro in contemporanea. Si tratta di una ricchezza straordinaria, ma anche di una sfida quotidiana: ciascuna generazione porta con sé prospettive, valori e bisogni differenti, ma la collaborazione non è sempre facile. Estremizzando, potremmo dire che ogni generazione ha un cervello che funziona in modo diverso: cosa significa?

Comprendere queste differenze non è solo utile, ma strategico.

Il cervello non è un sistema rigido. È plastico, si adatta grazie all’esperienza e alla pratica e ci permette di acquisire competenze diverse in fasi diverse della vita. Ad esempio, l’intelligenza fluida, cioè la capacità di pensare velocemente e ricordare informazioni, raggiunge il suo picco intorno ai 20 anni; la capacità di valutare gli stati emotivi si affina verso i 40-50 anni, mentre l’intelligenza cristallizzata, ovvero l’accumulo di fatti e conoscenze, può crescere anche tra i 60-70 anni.

Le neuroscienze ci offrono una chiave importante: riconoscere il valore delle competenze acquisiste nel tempo è essenziale per valorizzare davvero ogni generazione e prendere decisioni organizzative più consapevoli.
In quest’ottica, il linguaggio delle competenze diventa uno strumento strategico. Aiuta a superare pregiudizi e a costruire contesti più inclusivi ed efficaci. Parlare di competenze, quindi, significa andare oltre gli stereotipi e abbracciare una visione più realistica e strategica delle persone. Ed è proprio da questo cambio di prospettiva, oggi sempre più centrale nella cultura HR, che nasce la riflessione di questo articolo.

Un modello basato sulle competenze

Solo pochi anni fa, l’idea che le aziende avrebbero potuto abbandonare la tradizionale valutazione del personale basata su una rigida lettura del Curriculum Vitae avrebbe suscitato scetticismo. Oggi, invece, lo scenario è cambiato radicalmente: a livello globale, il paradigma dominante nel processo di assunzione è lo “Skills-First Hiring”, che sposta il focus dal “chi” al “come”.

Questo approccio privilegia le competenze pratiche – sia tecniche che trasversali – rispetto ai titoli di studio, rivoluzionando i criteri con cui le organizzazioni valutano e selezionano i talenti.

Un report della software house olandese TestGorilla, condotto su oltre mille aziende in tutto il mondo, evidenzia come il 94% dei recruiter consideri l’approccio skills-based hiring più predittivo del successo lavorativo rispetto alla semplice lettura del CV 1.

Ma quali vantaggi offre questo modello, sia per i lavoratori che per i datori di lavoro? 

Adottare un approccio basato sulle competenze rappresenta un passo decisivo verso un mercato del lavoro più inclusivo, efficiente e orientato al futuro. Questo modello consente di superare barriere tradizionali, aprendo le porte a una platea più ampia e diversificata di talenti.

Uno studio del 2023 condotto da LinkedIn Economic Graph2 ha dimostrato che interi settori potrebbero trarre significativi benefici da questa trasformazione:

  • Maggiore inclusività: consente di coinvolgere candidati spesso esclusi dai percorsi di selezione tradizionali, come chi non possiede una laurea.
  • Espansione del bacino di talenti: nel settore dell’istruzione, ad esempio, l’introduzione di criteri skills-based potrebbe aumentare del 24% la platea di potenziali candidati.
  • Riduzione dello skills gap: selezionare in base alle competenze reali aiuta a colmare più efficacemente le carenze di competenze richieste dal mercato.
  • Aumento della retention e fidelizzazione: le persone che si sentono valorizzate per ciò che sanno fare, più che per i titoli ottenuti, tendono a restare più a lungo in azienda.
  • Attrazione di profili proattivi: le aziende che investono nello sviluppo delle competenze attirano professionisti orientati alla crescita continua.
  • Allineamento con le nuove generazioni: la Gen Z sviluppa competenze attraverso percorsi non convenzionali come l’autoformazione, il volontariato o il lavoro freelance. Secondo un sondaggio LinkedIn3, il 40% dei giovani sarebbe disposto a rinunciare al 2–5% dello stipendio pur di accedere a ruoli più formativi.

Qual è, quindi, il nuovo ruolo della funzione HR in questo scenario?

 

HR come catalizzatore del cambiamento

Dal punto di vista operativo, l’adozione dell’approccio Skills-First Hiring comporta impatti concreti su vari fronti. Tra i più rilevanti troviamo la revisione delle Job Description. È da qui che parte la ricerca e la selezione del personale: dal modo in cui vengono pensati, scritti e pubblicati gli annunci di lavoro.

È interessante notare come dal 2020 al 2024 le aziende siano sempre meno propense a includere il requisito della laurea nelle offerte di lavoro, come mostra il grafico sottostante che analizza gli annunci di lavoro postati sul portale statunitense di Indeed.

 

Questo non significa che i titoli di studio ufficiali stiano scomparendo del tutto: in ambiti come la sanità, ad esempio, i titoli accademici restano fondamentali. Tuttavia, si sta diffondendo una visione più flessibile del concetto di “qualifica”, spostando il focus su ciò che una persona è realmente in grado di fare, piuttosto che sul percorso formale che ha seguito4.

Riportiamo come esempio il caso di Siemens, multinazionale tedesca leader nel settore della tecnologia. Per la ricerca di alcuni Project Engineer, figura cruciale nell’organizzazione aziendale, Siemens ha scelto un approccio atipico e allo stesso tempo coraggioso: ha indicato negli annunci che non era necessaria esperienza pregressa. La selezione si è concentrata sulle competenze trasversali — come il time management e la capacità organizzativa — a prescindere dal background formativo o professionale.

Questo approccio dimostra l’importanza di rivedere e ristrutturare le Job Description: renderle più neutre, inclusive e specifiche permette di ampliare il pool di candidati e migliorare la qualità delle candidature.
Le ricerche di LinkedIn ci dicono infatti che gli annunci di lavoro che elencano in modo dettagliato le competenze, registrano un aumento dell’11% nel tasso di visualizzazione delle candidature rispetto a quelli che non le menzionano.
Ciò potrebbe essere spiegato dal fatto che, esplicitando chiaramente le competenze richieste, si facilita nei candidati l’identificazione con il ruolo, anche in assenza di un’esperienza diretta in quella posizione specifica5.

Un secondo fronte riguarda la mobilità interna e mappatura delle competenze. Essere HR oggi significa gestire in modo strategico l’asset umano a disposizione, trasformandolo in un vantaggio competitivo per l’organizzazione.
In un contesto in cui il reclutamento si basa sempre più sulle competenze, l’investimento nel medio-lungo periodo sulle persone neoassunte diventa ancora più significativo.

Ciò può avvenire solo ripensando il ruolo delle risorse in azienda: non come semplici dipendenti con mansionari determinati e rigidi, ma persone con competenze non sostituibili, ciascuna con una capacità unica di offrire un contributo. Questo nuovo paradigma impone una riflessione profonda sull’evoluzione delle carriere professionali.
Sappiamo che gran parte delle pratiche di gestione dei talenti è ancora fortemente ancorata a logiche basate sulle posizioni: gli HR delineano le job description, definiscono livelli retributivi, pianificano la formazione e costruiscono organigrammi secondo schemi rigidi e predefiniti. I manager reclutano, assegnano incarichi, valutano le performance e promuovono i collaboratori in funzione dei ruoli ricoperti, mentre i dipendenti progrediscono per passaggi lineari da una posizione all’altra. Questo approccio, però, tratta la forza lavoro come un sistema statico, gestito secondo logiche di efficienza più che di crescita.

Il modello skills-based ribalta questa impostazione: non incasella più le persone in strutture “preconfezionate”, ma di disegna percorsi dinamici basati sulle reali capacità, sulle attitudini e sul potenziale. La gestione dei talenti diventa quindi fluida, personalizzata e orientata alla crescita continua. Le organizzazioni skills-first promuovono la mobilità interna non più solo per avanzamento verticale, ma anche attraverso percorsi orizzontali e interfunzionali, valorizzando il capitale umano in modo più equo e strategico6.

Un caso interessante è quello di Saipem,multinazionale italiana impegnata nel settore dell’infrastrutture e dell’energia, la quale ha recentemente creato un sistema di organizzazione delle risorse basato sulle singole abilità utilizzabili in modo flessibile e modulare7.
Il cuore del modello è la “mappatura delle competenze”, cioè una sorta di “libreria” delle skill presenti in azienda, pensata per allocare le risorse sui vari progetti e diverse aree di business, a prescindere dal loro job title.
Ogni dipendente, dunque, non è più considerato in base alla posizione che occupa, ma come un insieme di competenze uniche. Una logica che consente di seguire percorsi professionali di crescita più personalizzati e flessibili.

Una nuova visione del talento

In sintesi, adottare un processo HR basato sulle competenze non rappresenta solo una tendenza emergente, ma una risposta concreta e strategica alle nuove dinamiche del mercato del lavoro. In un contesto segnato da skills gap crescente, cambiamenti rapidi e crescente richiesta di flessibilità, le aziende che scommettono sul potenziale costruiscono un vantaggio competitivo duraturo.

In questo scenario, le organizzazioni che scelgono di investire sullo sviluppo delle competenze non solo diventano più attrattive ma costruiscono anche un vantaggio competitivo duraturo.
Ripensare i ruoli, mappare le competenze, investire in crescita continua: sono queste le leve per attrarre, sviluppare e trattenere i talenti di oggi e di domani.

Il messaggio è chiaro: non basta più chiedersi dove una persona è stata. Bisogna guardare a ciò che è in grado di fare — e soprattutto, a ciò che può diventare.

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A cura di
Monica Coppola e Federica Riccardi, PRAXI Formazione, e Simone Formato, PRAXI Risorse Umane
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23 maggio 2025
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